Introduzione
“Oggi io posso annunciare che gli Stati Uniti guideranno un’ampia coalizione per sconfiggere questo gruppo di terroristi. Il nostro obiettivo è chiaro. Intendiamo declassare e completamente distruggere l’ISIL”
È così che, il 10 settembre 2014, l’allora presidente degli Stati Uniti Barack Obama annuncia quella che sarà un’impegnativa e sanguinosa guerra allo Stato Islamico, meglio noto come ISIS.
Sono passati 9 anni da questa dichiarazione e ancora, ogni tanto, si legge la parola “ISIS” sui giornali. Che è successo nel frattempo? Che cos’è l’ISIS ed è ancora pericoloso come un tempo?
Partiamo con ordine…
L’ISIS a al-Raqqa e Mosul
Facciamo un breve salto a ben 8 mesi prima, il 13 gennaio 2014.
Sono passati circa 10 mesi dall’inizio dello scontro tra le forze leali a Bashar al-Assad, tutt’ora presidente della Siria, e Mushīr delle forze armate siriane, l’opposizione siriana e l’ISIS, che proprio quel giorno assume il controllo totale della città.
L’ISIS sancisce subito il suo potere su di essa, rendendola “capitale” del suo vasto dominio tra Siria e Iraq, oltre che il centro amministrativo e base strategica per i successivi attacchi. Infatti sarà proprio da al-Raqqa che verrà guidata la conquista di Mosul, seconda città più grossa dell’Iraq dopo la capitale Baghdad, presa il 10 giugno dello stesso anno.
Al-Raqqa però non diventa solo una semplice base militare, una culla per quello che risulta essere un califfato radicato nella violenza e nella rigidità. Al-Raqqa diventa l’epicentro di tale violenza, un luogo di torture, regole, imposizioni, regole, maltrattamenti e ancora altre regole.
I rifugiati, sopravvissuti a quello che da fuori potrebbe sembrare un Inferno cinematografico, parlano di esecuzioni pubbliche, continue parate militari, costanti uccisioni spesso motivate da blande ragioni e punizioni a non finire. Rubare significa perdere la propria mano (un po’ come le leggi Longobarde, più di un millennio fa ormai), parlare con i media occidentali corrisponde all’essere decapitati.
Queste sono alcune delle infinite scene quotidiane che gli abitanti di al-Raqqa, Mosul e chissà quante altre città hanno subito dal 2014 al 2017, anno della loro liberazione. Il tutto contornato da una sfilza senza fine di regole e imposizioni come il divieto di utilizzare telefoni, televisori, manichini nudi, fumo, alcol, musica all’aperto, foto di persone nelle vetrine e pantaloni della taglia sbagliata (vi era una severa ed esaustiva lista di taglie di pantaloni che ogni persona poteva indossare in base alla propria forma fisica). Per non parlare dei quasi assenti diritti delle donne, costrette a non uscire di casa per nessun motivo, e alla triste (ma forse anche abbastanza “caritatevole”) scelta imposta ad ogni individuo che non praticava l’Islam. Le opzioni erano tre: convertirsi, pagare una sorta di tassa religiosa detta “jizya”, o morire.
Solo 3 anni dopo, il 10 luglio 2017, al-Raqqa e Mosul vengono liberate per mano delle milizie statunitensi, aiutate da Russia, Iran, Qatar, Arabia Saudita e Turchia. Sarebbe bello dire che finisce tutto quel giorno, tra gli ultimi spari incrociati tra Stato Islamico e Stati Uniti. Sarebbe bello, ma non finisce proprio così…
Quello che rimane di al-Raqqa è una città che ha perso oltre 1600 civili secondo Amnesty International, oltre che il 90% delle costruzioni, come riferisce il consigliere Mohamed Nour al-Dheib, abbattute da bombardamenti e chissà che altro.
Anche oggi, nonostante i 6 anni trascorsi dalla sua liberazione, la città è in una lenta fase di riassestamento economico e presenta una grossa vulnerabilità organizzativa, la stessa che ha permesso all’ISIS di impadronirsene. Basta pensare ai rapimenti, saccheggi e attacchi che ogni giorno riempiono la cronaca dell’ex capitale dello Stato Islamico, tutt’ora un problema di cui però nessuno parla.
Che cos’è l’ISIS?
Spesso in Occidente l’ISIS significa solo una cosa: attentati. Molto probabilmente più dell’80% di voi (se non esaustivamente informati sull’argomento) non aveva nemmeno capito l’associazione tra “ISIS” e “Stato Islamico” delle righe precedenti.
Questo perché in Italia, come in altri stati occidentali, l’attenzione in primo piano verso l’ISIS è sempre stata relativa ad attentati e attacchi terroristici, probabilmente perché situazioni molto più vicine a noi (oltre che per il disinteresse generale dell’Occidente nei confronti dell’Oriente, specialmente nello scorso decennio).
Quello che le persone però non sanno è che la nostra vita dipende da tale organizzazione criminale molto più di quanto pensiamo, anche se, ovviamente, per aspetti tutt’altro che positivi.
Breve storia dell’ISIS
Tutto parte nel 2001, in quel tragico 9 settembre che da inizio ad una sanguinosa lotta tra USA e al-Qaeda, movimento paramilitare terroristico internazionale a ideologia islamista guidato da Bin Laden. È il desiderio di vendetta che permette agli Stati Uniti di sgretolare pian piano al-Qaeda, riducendolo sempre di più nel tempo ad un gruppo di ricercati e latitanti, per concludersi il 2 maggio 2011 con la morte di Osama Bin Laden.
È proprio quell’anno che che prende il potere un nuovo gruppo terroristico nato dalle stesse ceneri di al-Qaeda e chiamato ISI (Islamic State of Iraq), poi rinominato ISIS (Islamic State of Iraq and Syria).
Il gruppo, fondato nel 2004 da Abu Musab al Zarqawi, parte come gruppo propagandistico grazie al suo giornale online “Dabiq” e al “al-Furqan Institute for Media Production”, un istituto che produceva CD, DVD e manifesti online di propaganda, ma pian piano inizia a capire che può fare molto di più.
La Siria e l’Iraq, infatti, in quegli anni soffrono di una grave instabilità politica, militare e organizzativa, un buco troppo grande per non passarci attraverso. È così che dal 2011 l’ISIS inizia a sferrare attacchi a città e realtà politiche senza sosta, con una furia che solo una forte fede (seppur di natura estremista) può guidare.
La strategia dell’ISIS, secondo l’esperto di terrorismo Bendaudi Abdelillah, è molto semplice: sferrare continui attacchi pesanti e randomici, conquistare velocemente città, territori, ricchezze e prigionieri, così da rafforzarsi sempre di più senza che nessuno possa fare molto per fermarli.
In quegli anni diventano famosi anche per le decapitazioni online, e in generale per le macabre apparizioni sui media. Il gruppo infatti possiede anche account social su Twitter, Quitter, Friendica e Diaspora, passando da un social all’altro per i numerosi ban ricevuti.
Nel 2014, nel suo apice, l’ISIS arriva a possedere un territorio pari all’estensione del Regno Unito, comprensivo del 40% dell’Iraq e un terzo della Siria, ma le loro ambizioni espansionistiche non si fermano qui.
Infatti l’errore che porterà l’ISIS ad essere sconfitto a tutti i costi da USA e non solo è uno: non accontentarsi dell’Oriente.
Non sto parlando degli attentati in Libia, Baghdad, Istanbul, Bruxelles, Manchester, Londra, Barcellona e New York. Certo, anche quelli risultano pericolosi e temuti agli occhi della massa, ma di qualcosa di molto più grande: un vero e proprio piano di conquista Occidentale.
Viene pubblicato online il primo luglio 2014 e si tratta di una dettagliata mappa comprensiva di tutti i territori che il gruppo punta a conquistare entro il 2020. Oltre a Medio Oriente (e a parte della Cina) e Nord Africa, possiamo notare una grossa fetta d’Europa nel mirino, tra cui Grecia, Turchia, Cipro, Malta, Ungheria, Slovacchia, Romania, Bulgaria, Moldavia, Crimea, Penisola Iberica, Austria e Liechtenstein, il cui culmine sarebbe la conquista di Madrid (rinominata al-Andalus) nel 2020.
Quattro mesi dopo il gruppo pubblica un nuovo documento degno di nota: i piani dettagliati di una strategia per conquistare e mettere sotto i ferri Roma.
Nello stesso anno, per aumentare l’interesse nei propri confronti anche in Occidente, il gruppo terroristico fonda l’*Al Hayat Media Center*, un’organizzazione adibita al pubblicare articoli di propaganda in lingua inglese, francese, tedesca e russa, ma ormai hanno tirato troppo la corda e l’Occidente non può più permettersi una cosa del genere.
Inizia una sanguinosa e distruttiva guerra tra Occidente e ISIS. L’ISIS è potente e motivato a vincere, ma la forza di tutta Europa, USA e numerose milizie Orientali piegano il loro potere, finendo togliere dalle loro grinfie un totale del 95% dei loro possedimenti.
Persino la Wagner partecipa alla lotta contro l’ISIS a partire dal 2015, probabilmente per un acceso interesse della Russia per il petrolio Siriano e Iracheno (ad esempio a Palmira), ma la loro crudeltà non passa inosservata per le mutilazioni e vendette pubblicate senza censura sui media.
Economia e ideologia dell’ISIS
Come ogni milizia o “stato”, nonostante risultasse solo un califfato autoproclamato, l’ISIS vive grazie al denaro. Ma dove ne procura così tanto?
Estorsioni, saccheggi, traffico di persone, tasse, sequestri di campi petroliferi e basi archeologiche sono solo la punta dell’iceberg di un patrimonio che nel 2014 arriva a valere, secondo le stime, 2 miliardi di dollari... ma non finisce qui.
Infatti, oltre alle donazioni da parte di personaggi ricchi che sostengono tale causa, il commercio di droga è un’importantissima fonte di guadagno per l’ISIS, trasportando ad esempio da Afghanistan a Europa il 50% dell’eroina in commercio.
Da non sottovalutare però è anche il giro di armi per un “esercito” così grande e attivo, per cui Cina, Romania, Russia e Ungheria sono i più grandi fornitori.
Quello che però guida l’ISIS non è l’incontrollata ricerca di denaro e potere, o almeno non solo. C’è, che lo si voglia o no, una vera e propria fede. Quella dell’ISIS, infatti, è un’interpretazione radicale e anti-occidentale dell’Islam che proclama “infedeli” persino i musulmani con idee più “moderne” o “pacifiste”.
Alcuni studi, però, finiscono addirittura a discostare completamente tali ideologie all’Islam, collegandolo invece a una corrente di Wahhabismo, il quale ha come centro e fine di tutto la violenza. Bernard Haykel, ricercatore e studioso del Medio Oriente dell’università di Princeton, definisce queste idee persino contrastanti con quelle di al-Qaeda, affermando che: “La violenza dell’ISIS è un fine in sé, mentre per al-Qaeda la violenza è solo un mezzo per altri fini”.
Quello dell’ISIS è un vero e proprio progetto di fondazione di uno stato conservazionista e radicale, che avrebbe come unico scopo il contrastare l’Occidente e il cristianesimo.
Tutte queste convinzioni politiche e religiose portano ad una chiusura tale che finisce per soffocare tutti coloro che non sono d’accordo con queste idee, come è il caso della Shari’a (un complesso di regole dettate da dio per la condotta morale e religiosa che più di tutti influisce sulla libertà e felicità delle donne), ma anche i sistemi scolastici sono pesantemente colpiti da tali convinzioni. Storia, letteratura, arte, musica e persino la teoria dell’evoluzione di Darwin sono solo alcune delle materie che sono state bandite nel corso degli anni nelle scuole sotto il controllo dell’ISIS.
Ma quindi che fine ha fatto l’ISIS?
“L’ISIS è un problema di ieri, oggi e domani, poiché, pur non detenendo più territori, possiede ancora numerosi affiliati e amici” afferma l’istituto americano per la pace.
Questo perché, nonostante l’ormai visibile sconfitta di quello che era il più grande califfato autoproclamato dei tempi nostri, l’ISIS non è finito, non finisce e non finirà mai.
Sulla rivista NATO review la ricercatrice Vera Mironova ha spiegato come “Sebbene delusi nelle loro aspettative dalla realtà quotidiana del califfato, molti militanti fuoriusciti dall’ISIS si ritrovano abbandonati a sé stessi. Sono cittadini apolidi senza documenti e denaro, impossibili da reintegrare nella società e con la guerra armata come unica qualifica nel curriculum”.
Infatti pare che ci siano ancora circa 10 000 combattenti attivi, in aggiunta alle migliaia di ex militanti detenuti in prigioni tutt’altro che ben gestite. Ne è un esempio la situazione del carcere di al-Sinaa, nei pressi di Baghdad, dove nel 2022 un gruppo di 300 combattenti ha fatto scoppiare una macchina bomba e liberato 3500 compagni prigionieri. Due settimane dopo, il 3 febbraio 2022, le forze speciali americane hanno ucciso il leader latitante Abu Ibrahim al-Qurashi (detto anche Haji Abdullah) nel nord della Siria.
Quello che rimane ora è un piccolo gruppo di soldati che non hanno perso la fiducia nei loro ideali e che combattono nelle zone rurali del Medio Oriente senza detenere dei veri e propri territori. Si tratta di un’organizzazione indebolita e di piccole dimensioni, guidata da leader nascosti in aree desertiche periodicamente eliminati dalle forze speciali americane. Basti pensare al fatto che, successivamente all’uccisione del leader il 3 febbraio 2022, già il 10 marzo ne era stato eletto un altro.
I veri problemi di oggi
L’ISIS non è certo nell’incessante e visibile crescita di un tempo. L’interesse dei media nei suoi confronti è nettamente calato - riducendosi a qualche raro articolo nelle pagine secondarie su eventuali attacchi terroristici in chiese orientali - e con esso anche il nostro, ma questo non significa che sia un capitolo chiuso della nostra storia.
La Siria, distrutta da bombardamenti terroristici e Americani, è in una lenta e zoppicante fase di riassestamento e i campi profughi (come quello di al-Hol, definito la “Guantanamo del Medio Oriente”) subiscono una media di 2 omicidi alla settimana e continui attacchi da parte di gruppi armati rivendicati dall’ISIS.
È di due mesi fa la comunicazione da parte degli Stati Uniti dell’uccisione dell’ormai ex leader Abu al Hussein al Hussayni al Qurashi, confermata successivamente anche dall’ISIS, mentre risale al primo agosto un attacco mortale ad un comizio elettorale in Pakistan rivendicato dal gruppo.
Quello che abbiamo davanti è una situazione in sordina, almeno in Occidente, che nonostante le violente botte non sembra ostinata a fermarsi. Servirà ben altro per la totale sconfitta di quello che fino a qualche anno fa sembrava una seria minaccia per il Medio Oriente e non solo, oltre all’uccisione di leader e altri scontri, ma siamo davvero sicuri un giorno possa finire?
Siamo davvero sicuri che situazioni del genere possano rinascere, magari con volti nuovi, come è già successo dopo al-Qaeda? Questo lo lascio decidere a voi, nel bene o nel male.
“Do you think that you have won the war against the Islamic State when you killed Abu Musab al-Zarqawi or Bin Laden or… Do you think that you will win the war if you kill Abu Omar al-Shishani or Abu Bakr Al-Baghdadi…?” [cit. Abu Muhamad Adnani in 2016]



